In persona dei signori Giudici:
- Dott. Enzo Turco, Presidente;
- Dott. Angelo Zaccagnini, Giudice;
- Dott. Pasquale Fimiani, Giudice relatore/estensore.
nella causa n. 674/2005 avente ad oggetto:
-reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. da parte di Giorgio D'AMBROSIO, elettivamente domiciliato in Pescara, alla via Ravenna, 72, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Amicarelli, che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente con l'avv. Sergio Della Rocca, in virtù di mandato in calce all'atto di reclamo, avverso l'ordinanza di rigetto del 10 febbraio 2005 del ricorso ex art. 700 c.p.c.
ha emesso la seguente
ORDINANZA
I) Premessa
Giorgio D'AMBROSIO, Sindaco in carica del Comune di Pianella (provincia di Pescara), proponeva avanti a questo Tribunale ricorso ex art. 700 c.p.c. assumendo:
- la legge regionale n° 51 del 30 dicembre 2004, pubblicata in B.U.R.A. n° 3 del 14.01.2005, prevede all'art. 2, comma 1, lettera n), che "Non sono eleggibili a Presidente della Giunta e Consigliere regionale (...) i Sindaci dei Comuni della Regione con popolazione superiore a cinquemila abitanti" ed al successivo art. 4 bis, la possibilità di rimuovere le cause di ineleggibilità entro venti giorni dall'entrata in vigore della legge stessa (15.01.2005);
- era sua intenzione esercitare il diritto di elettorato passivo candidandosi, nella circoscrizione della Provincia di Pescara, alle elezioni per il rinnovo del Consiglio della Regione Abruzzo, fissate per la prossima primavera (3 -4 aprile 2005), essendo decorso il quinquennio dalle precedenti.
Denunciava quindi, l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma l°, lettera n), L.R. n° 51 del 30 dicembre 2004, per violazione degli artt. 3, 51 e 122 Cost. e chiedeva:
a) in via principale, accertare il diritto del rag. Giorgio D'Ambrosio a concorrere alle elezioni alla carica di Consigliere della Regione Abruzzo e dichiarare la sua eleggibilità, previa immediata disapplicazione delle norme, di cui all'art. 2, comma 1°, lettera n), e -si opus sit- all'art. 4 bis, della legge della Regione Abruzzo n° 51 del 30.12.2004;
b) in subordine, accertare il diritto del rag. Giorgio D'Ambrosio a concorrere alle elezioni alla carica di Consigliere della Regione Abruzzo e dichiarare la sua eleggibilità, previa remissione alla Corte costituzionale delle norme, di cui all'art. 2, comma l°, lettera n), e -si opus sit- all'art. 4 bis, della legge della Regione Abruzzo n° 51 del 30.12.2004, affinchè la stessa Corte ne dichiari l'illegittimità per contrasto con gli artt. 3, 51 e 122 Cost.; .
c) disporre per il prosieguo nel merito, con riserva di danni;
d) con vittoria di spese.
In data 9 febbraio 2005 il Giudice, sentite le parti (il ricorrente, la resistente Regione Abruzzo, costituitasi con la propria Avvocatura regionale ed il Pubblico Ministero), riservava ordinanza.
Il successivo l0 febbraio 2005, a scioglimento della riserva, dichiarava “manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 2, l°, lettera n), L.R. 30 dicembre 2004, n. 51” e rigettava il ricorso, compensando le spese.
Il D'Ambrosio ha proposto reclamo al Collegio assumendo che il provvedimento impugnato, pur facendo correttamente riferimento all’art. 122 Cost. ed alla legge n. 165/04, dà di queste norme una lettura insufficiente e non adeguata allo spirito informatore della materia.
All'udienza camerale del 25 febbraio 2005 il Collegio, sentite le parti riservava ordinanza.
II) Il ricorso ex art. 700 c.p.c.
Al fine di esaminare il reclamo è necessario ripercorre le argomentazioni contenute nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e la risposta del Giudice di prime cure.
Dal ricorso si evince quanto segue.
“La menzionata L.R.A. 51/04 avrebbe voluto, programmaticamente, dare attuazione all'art. 122 Cost. ed inserirsi nella cornice della L. 165/04, ma ne ha stravolto i principi.
In effetti, l'art. 2 della citata legge statale 165/04 indica alle regioni i criteri, entro i quali disciplinare i casi di ineleggibilità di consiglieri e presidenti delle stesse; in particolare, il comma 1, lettera a) del detto art. 2 detta i seguenti principi fondamentali: a) sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati.
Il legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi rigorosamente all'ambito indicato dal Parlamento e non aveva in materia una potestà legislativa illimitata e arbitraria, poiché la previsione delle cause di ineleggibilità doveva limitarsi ai casi, nei quali fosse stata evidente e tangibile la capacità del candidato, per la peculiarità della sua situazione, di incidere sulla libertà dell'elettorato attivo.
Questi eccezionali casi, inoltre, dovevano essere giustificati dalla particolarità della situazione della regione legiferante, rispetto al resto del territorio nazionale.
E' assolutamente evidente che il legislatore abruzzese, con la legge 51/04, non si sia attenuto ai principi suddetti, ma abbia arbitrariamente trasformato cause di incompatibilità, previste dalla disciplina nazionale (art. 4 L. 154/81), in cause di ineleggibilità, col fine di rendere difficoltoso l'accesso alle cariche pubbliche elettive, proprio ad alcuni rappresentanti del corpo elettorale.
Sono infatti noti gli effetti delle cause di incompatibilità e di quelle di ineleggibilità, essendo questi ultimi assai più gravi dei primi.
La legge regionale n° 51 del 30 dicembre 2004, art. 2, comma 1, lettera “n)” è, dunque, incostituzionale, per violazione degli artt. 3,51 e 122 Cost. e qui si denuncia formalmente tale illegittimità.
Quello di elettorato passivo, riconosciuto dall'art. 51 Cost., è un diritto soggettivo primario di immediata fonte costituzionale, che sopporta limitazioni in via assolutamente eccezionale.
Non si ricava né dal testo della legge impugnata né dai lavori dell' Assemblea regionale quali ragioni abbiano indotto il Consiglio ad introdurre una norma, tanto limitativa quanto quella dettata in odio ai Sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.
La norma denunciata viola, inoltre, e patentemente l'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo della lesione dell’eguaglianza sia sotto quello della ragionevolezza.
L'attenzione all'eguaglianza è stata particolarmente evidenziata dal legislatore nazionale, sia nel testo del richiamato art. 2 della L. 165/04, laddove ha sottolineato l'esigenza di giustificare le cause di ineleggibilità con la presenza di peculiari situazioni delle regioni, sia nella relazione sulla legge della Prima commissione permanente del Senato (Affari costituzionali): "In altre parole, con questo disegno di legge sono implicitamente affrontati i modi più corretti per comporre in un disegno organico e complementare non solo il tema dell'autonomia regionale, ma contemporaneamente anche la tutela del diritto alle pari opportunità ed all’uguaglianza tra tutti, dato che sono direttamente investiti la qualificazione della persona come cittadino ed i suoi diritti di libertà e di influenza nella sfera sociale e politica." (Relazione della Prima Commissione, curata dal senatore Falcier - doc. 4).
La potestà legislativa regionale, dunque, doveva e deve essere esercitata "entro i limiti di una tutela paritaria su tutto il territorio nazionale. Infatti tale autonomia si combina con il più rigoroso scrupolo che il suo riconoscimento non si risolva in una corrispettiva lesione dei diritti di cittadinanza.” (ancora dalla relazione del sen. Falcier)
La violazione del principio di eguaglianza e di quello da esso scaturente, di ragionevolezza, è soprattutto evidente ove si consideri che la legge denunciata lascia immutato il diritto di elettorato passivo in favore di chi sia investito di funzioni che incidono sull'intero territorio della Regione, quali il Presidente in carica della Giunta regionale, gli Assessori della stessa ed i Consiglieri regionali uscenti, mentre la nega a chi, come il ricorrente, sia Sindaco di un Comune medio - piccolo.
Conformemente alle previsioni statali, la Regione Friuli Venezia Giulia, con sua legge n. 21 del 29 luglio 2004, ha previsto quale causa di incompatibilità per il Consigliere regionale eletto, la carica di Presidente e Assessore provinciale, nonché Sindaco e Assessore dei Comuni compresi nel territorio della Regione (art. 4, comma l, lett. a).
A ben vedere anche il progetto di legge, licenziato il 14.12.2004 dalla Commissione del Consiglio regionale abruzzese, recava la previsione di incompatibilità tra la carica di Consigliere regionale e quella di Sindaco. Senonché, tale testo è stato modificato in modo determinante dal Consiglio regionale nella seduta del 21.12.2004, attraverso emendamenti manoscritti, inopinatamente introdotti nel corso della stessa seduta!
In applicazione dei suesposti principi, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, con ricorso n. 84 del 20 agosto 2004, ha impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale (ricorso del Commissario - doc. 5; estratto del calendario delle udienze della Corte Costituzionale - doc. 6) la Legge Regionale siciliana del 5 agosto 2004, la quale prevedeva l'ineleggibilità di Assessori con popolazione superiore ai 40.000 abitanti, nonché di Sindaci di Comuni con più di 5.000 abitanti e dei Presidenti ed Assessori delle Province della Regione. Il rappresentante del Governo ha correttamente rilevato che "tali cause di limitazione dell'elettorato passivo non trovano riscontro nell’ordinamento giuridico nazionale, che prevede l’incompatibilità tra la carica di Consigliere Regionale e quelle di Sindaco e Presidente delle Province e Assessori e Consiglieri comunali e provinciali" e che non può essere giustificata l'adozione di misure così drastiche, che comprimono il diritto costituzionalmente garantito a candidarsi alla carica di Consigliere Regionale, per "la Quasi totalità delle istituzioni locali".
Tali motivazioni sono perfettamente utilizzabili anche per la normativa approvata dal Consiglio regionale abruzzese, il cui contrasto con l'art. 2 della Legge n. 165/2004, nonché con gli articoli 3 e 51 della Costituzione appare evidente.
Non è di secondaria importanza la palese disparità di trattamento tra gli amministratori locali abruzzesi e quelli che svolgono analoghe funzioni nel territorio nazionale, per i quali le rispettive Regioni di appartenenza abbiano previsto espressamente (ad esempio, Friuli Venezia Giulia) la condizione di incompatibilità o nelle quali viga ancora la normativa nazionale (L. 154/81), che pure prevede l'incompatibilità.
La Legge regionale abruzzese contiene, altresì, limitazioni temporali del tutto illegittime e disancorate da scadenze elettorali determinate, quale quella di cui all'art. 4 bis, che prevede la rimozione delle cause di ineleggibilità entro venti giorni dall'entrata in vigore della legge stessa, quando invece la normativa nazionale fissa il termine per la rimozione dell'ineleggibilità al momento della presentazione delle candidature (art. 2 L. 154/81, conservato proprio per le Regioni dall'art. 274 d.lgs. 267 /2000).
Infine, va denunciata la violazione dell'art. 122 Cost., avendo il legislatore regionale chiaramente superato i limiti segnatigli dalla norma nazionale di riferimento, cioè dalla ripetuta legge n° 165 del 2004.
5) Come è evidente da quanto si è venuti scrivendo fin qui, il ricorrente lamenta l'immediata lesione del suo diritto soggettivo di elettorato passivo; l'aggressione gli è venuta direttamente dalla Regione Abruzzo col mezzo della legge regionale.
La detta lesione deve, perciò, essere immediatamente tutelata ed il mezzo può, e perciò deve, essere quello della, declaratoria dell'eleggibilità del ricorrente; questi, in altre parole, sta qui proponendo un'azione dichiarativa del suo stesso diritto di elettorato passivo, il quale - stanti la previsione temporale dell'art. 4 bis della L.R. 51/04 e, comunque, l'imminenza delle elezioni regionali - non può che trovare tutela attraverso il ricorso in via d'urgenza.
Che la declaratoria del diritto possa costituire l'unica tutela del medesimo è stato esplicitamente riconosciuto in giurisprudenza; per una fattispecie in materia analoga a quella in esame, si rinvia a Pretura di Roma, ordinanza 19.5.1987, in Giurisprudenza Costituzionale, 1988, II, pag. 2522, con nota Borrello:
“La tutela del diritto costituzionalmente garantito alla
partecipazione alle elezioni politiche per il rinnovo della camera dei
deputati, insuscettibile di risarcimento per equivalente, può utilmente essere
tutelato provvisoriamente ed in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., attraverso un
provvedimento che dichiari il tempestivo deposito della lista, quando questo
non sia potuto avvenire per causa di forza maggiore.”
Pertanto, il Sindaco D'Ambrosio propone nel merito un'azione dichiarativa e chiede che ne siano anticipati gli effetti in via d'urgenza, essendo il solo mezzo di tutela effettiva e reale del suo diritto.
D'altronde, nessuno potrà mai negare che l'elettorato passivo costituisca nel nostro ordinamento democratico un diritto soggettivo assoluto, come tale sicuramente suscettibile di tutela anche ex art. 700 c.p.c..
6) L'azione esercitata dal ricorrente, dunque, è volta ad ottenere la rimozione degli effetti della legge regionale n° 51 del 30.12.2004.
Tali effetti possono, e ad avviso dell'istante devono, essere immediatamente caducati, attraverso la disapplicazione della norma regionale ovvero la declaratoria della sua inefficacia nei confronti del ricorrente, da stabilirsi immediatamente con lo stesso provvedimento ex art. 700.
È lo stesso rango assolutamente primario del diritto leso che deve indurre ad una simile pronuncia: la posizione soggettiva del ricorrente è riconosciuta immediatamente da una norma costituzionale ed è stata violata da una di rango ad essa inferiore; non vengono in comparazione fattispecie tutelate da norme di legge ordinaria, ma una norma ordinaria ed una costituzionale.
Rimossi gli effetti dell'illegittima legge regionale, si riespanderebbe immediatamente il diritto di rango costituzionale dell'esponente.
La giurisprudenza più recente ha riconosciuto la necessità di assicurare tutela anche a posizioni di rango inferiore a quella in esame, immediatamente disapplicando la legge ritenuta incostituzionale:
"È ammissibile la domanda cautelare volta ad ottenere un provvedimento d'urgenza a tutela di un diritto soggettivo che si assuma violato da una norma di legge ordinaria della quale si affermi l'illegittimità costituzionale e, in specie, anche il contrasto con una norma contenuta in un regolamento comunitario.” (Tribunale Torino, ordinanza 28 agosto 2000 - Varetto e altro c. Reg. Piemonte e altro -Giur. it. 2001, 1866 - nota PORCARI)
Nel caso di specie, in particolare, ove il Giudice adito ritenga incostituzionale la previsione della legge regionale, che ingiustamente ed immotivatamente comprime il diritto dei Sindaci, dei comuni con più di cinquemila abitanti, di partecipare alla competizione elettorale, egli può emettere l'invocato provvedimento d'urgenza e procedere, perciò, alla disapplicazione immediata delle norme impugnate: artt. 2, comma l, lettera n), e 4 bis della L.R. 30.12.04, n° 51, rimettendo al giudice del merito anche per il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
La disapplicazione della norma regionale in questione comporta l'applicazione della norma nazionale generale (art. 4 della L. 154/1981), la quale prevede per i Sindaci la condizione di incompatibilità con la carica di Consigliere regionale.
Suborninatamente, ove l'on. Giudicante non ritenga di esercitare il potere testè sollecitato, egli vorrà certamente riconoscere la fondatezza (ed a maggior ragione la non manifesta infondatezza) della questione di costituzionalità sollevata ed illustrata ai punti precedenti.
La rilevanza della stessa è in re ipsa, poiché si domanda la tutela urgente di un diritto costituzionale, perciò lo stesso Giudice della tutela urgente vorrà, conseguentemente, sospendere il procedimento ex art. 700 e sollevare egli stesso, quale giudice a quo, la questione dinanzi la Corte costituzionale, riservando all'esito il proprio provvedimento cautelare.
7) Sussiste il fumus boni juris per tutto quanto sin qui esposto: la violazione del diritto soggettivo di elettorato passivo a, mezzo della legge regionale appare indubitabile.
D'altronde, il ricorso promosso dal Commissario di Stato per la Regione Sicilia per l'identica questione in materia elettorale (citato doc. 5) ha già superato il filtro previsto dall'art. 26, 2° comma legge n. 87/53 (declaratoria in camera di consiglio per i casi di manifesta infondatezza) ed è stata fissata udienza pubblica al 22.3.05 (cfr. citato doc. 6).
Per quanto attiene alla sussistenza del periculum in mora, vanno anzitutto richiamate le puntuali motivazioni della citata ordinanza della Pretura di Roma sull'impossibilità di tutela per equivalente dei diritti di elettorato, nonché evidenziato il pregiudizio irreparabile che subisce il ricorrente dall'applicazione della norma regionale.
Inoltre, va rilevato che la stessa L.R. 51/04 contiene un termine di giorni 20, decorrente dalla pubblicazione avvenuta sul B.U.R.A. 14.01.05, entro il quale il potenziale candidato alla carica di consigliere regionale sarebbe costretto a dismettere la sua attuale funzione di Sindaco, in ossequio all'incostituzionale previsione di ineleggibilità. D'altronde, l'imminente scadenza del mandato dell'attuale Consiglio regionale e la necessità, prevista dalla legge di procedere al suo rinnovo entro la primavera, impongono un provvedimento urgente, atteso che il diritto del ricorrente sarebbe vanificato dai tempi del giudizio ordinario di cognizione.
Il Consiglio regionale abruzzese è 1'organo che forma la volontà della Regione Abruzzo, le sue leggi sono promulgate dal Presidente della Giunta, che è il legale rappresentante della stessa Regione; pertanto la Regione Abruzzo è il soggetto, cui deve addebitarsi la lesione del diritto soggettivo di elettorato passivo del ricorrente, recata dalla legge regionale n° 51/04",
III) L 'ordinanza cautelare
Il Giudice designato richiamati gli artt. 122 Cost. e la L. 2 luglio 2004, n. 165, ha così motivato la propria decisione:
"- la causa di ineleggibilità qui contestata (essere Sindaco di un Comune di dimensioni non piccole e, quindi, essere titolare di non modeste potenzialità aggregative) appare sintonica rispetto all'obiettivo della legge quadro statale; obiettivo che, presidiando la trasparenza e la fluidità della competizione democratica, ha forza derogatoria rispetto alla prerogativa individuale di rango costituzionale che formalizza l'uguaglianza nell'elettorato passivo;
- peraltro, la conferma di un esercizio non irragionevole od abusivo della discrezionalità legislativa regionale si rinviene nella prevista disattivazione della causa di ineleggibilità, qualora essa sia cessata per qualunque motivo almeno novanta giorni prima di quello fissato per la presentazione delle candidature (art. 2, comma II, L.R. 51) e non sia più in grado, quindi, di produrre i suoi effetti opachi;
- peraltro, attesa la possibilità (per ragioni in parte analoghe) di concorrere alla competizione elettorale previa rimozione della causa di ineleggibilità entro venti giorni dall'entrata in vigore della legge (art. 4 bis L.R. 51) - considerata l'entrata in vigore della legge il 15 gennaio 2005 (giorno successivo alla pubblicazione sul B.U.R.A.) - Il D’Ambrosio avrebbe goduto di margine ampio per organizzare la sua candidatura alle elezioni regionali;
- né viene in rilievo il fatto che altri ordinamenti (L. Friuli 29 luglio 2004, n. 21) hanno inteso stabilire la mera incompatibilità tra la carica di Sindaco e carica di consigliere regionale (piuttosto che l'ineleggibilità del primo), trattandosi di disparità normative ormai ineludibili nell'impianto federalistico disegnato dal nuovo titolo V della carta fondamentale, difformità da accettare come tali laddove non travalichino - come qui non è parso - i principi fondamentali di derivazione statale".
IV) Il Reclamo
Il reclamante assume che il provvedimento impugnato è carente di motivazione in ordine alle modalità, per mezzo delle quali il ricorrente possa turbare o condizionare in modo diretto la competizione elettorale di livello regionale, questi rivestendo una carica, la cui investitura poggia su una limitata frazione del corpo elettorale regionale. Si afferma che il Giudice di prime cure, dopo aver sottolineato le dimensioni non piccole del Comune di cui il ricorrente è Sindaco, si è limitato a sostenere che tale circostanza sia di per se tale da farlo ricadere nella fattispecie individuata dalla legge statale e perciò sintonica con la medesima, senza farsi carico di verificare e motivare se e come il Sindaco di un Comune di limitate dimensioni (7.788 abitanti) possa incidere sulla competizione elettorale regionale, tanto da condizionarla o addirittura turbarla in modo diretto.
Si ribadisce nel reclamo che la norma regionale si pone in contrasto con gli artt. 3 (lesione del principio di eguaglianza) e 51 Cost. (eguale esercizio del diritto di elettorato passivo) in quanto:
- consente che all'elezione dei Consiglieri regionali possono legittimamente partecipare soggetti, che esercitano le loro funzioni elettive su tutto il territorio regionale ed avrebbero, perciò, ben più ampia e penetrante capacità di incidere sull'elettorato attivo, quali i Consiglieri uscenti, il Presidente del Consiglio regionale, gli Assessori regionali, ed il Presidente della Giunta regionale;
- pone i Sindaci della regione Abruzzo in una posizione di disparità di trattamento rispetto agli omologhi nel resto del territorio nazionale.
Di tali profili di contrasto rispetto alle regole costituzionali il primo Giudice non si sarebbe fatto carico, essendosi limitato ad affermare che le esigenze della trasparenza e della fluidità della competizione elettorale avrebbero forza derogatoria rispetto al diritto individuale di rango costituzionale, di cui all'art. 51 Cost., senza però giustificare “perché tale limitazione possa legittimamente colpire solo i Sindaci e poche altre categorie, lasciando intatti i diritti di elettorato passivo di quegli altri soggetti, che si sono sopra indicati e che - accettando per ipotesi le ragioni del legislatore regionale - avrebbero per loro natura maggior capacità distorsiva della competizione elettorale”.
Viene infine impugnato il capo del provvedimento che ha ritenuto di trovare una sorta di uscita di sicurezza nella previsione del legislatore regionale delle preventive dimissioni del candidato. Sotto questo profilo si afferma che il nostro ordinamento, ha sempre consentito l'eliminazione della causa di ineleggibilità per mezzo delle dimissioni preventive. Pertanto una simile previsione non serve in alcun modo a superare le censure di disparità di trattamento e di irragionevolezza, mosse alla norma regionale, né può costituire un particolare elemento di apprezzamento della medesima sul piano "dell'esercizio non irragionevole od abusivo della discrezionalità legislativa regionale". In sostanza il legislatore regionale non avrebbe concesso, a coloro che ha ritenuto ineleggibili, alcun trattamento particolare e, in qualche modo, restitutorio del loro diritto leso. Al contrario, la previsione del limite di 20 giorni, di cui all'art. 4 bis della L.R.A. 51-04, sarebbe arbitraria ed anche peggiorativa rispetto a quella generale della legge 154 del 1981.
V) Il Quadro Normativo Di Riferimento
L'art. 122 Cost., come sostituito dall'art. 2, L. Cost. 22 novembre 1999, n. l (recante riforma del Titolo V della Costituzione) prevede al primo comma che "Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.
La previsione è stata attuata dalla L. 02-07-2004 n. 165, recante Disposizioni di attuazione - dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione, che all'art 2, detta le seguenti disposizioni di principio, in attuazione dell'articolo 122, primo comma della Costituzione, in materia di ineleggibilità:
“l. Fatte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione, le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti dei seguenti principi fondamentali:
a) sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati;
b) inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato;
c) applicazione della disciplina delle incompatibilità alle cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni qualora ricorrano le condizioni previste dall'articolo 3, comma l, lettere a) e b);
d) attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell'autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L'esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;
e) eventuale differenziazione della disciplina dell'ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali;
f) previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia".
La Regione Abruzzo ha attuato la L. 02-07-2004 n. 165 con la L.R. 30 dicembre 2004, n. 51, recante Disposizioni in materia di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dalla carica di consigliere regionale, pubblicata nel B. U. Abruzzo 14 gennaio 2005, n. 3 ed entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione (art. 6).
La legge prevede, all'art. 2:
“l. Non sono eleggibili a Presidente della Giunta e a Consigliere regionale:
a) i Ministri ed i Sottosegretari di Stato;
b) i giudici ordinari della Corte costituzionale ed i membri del Consiglio superiore della magistratura;
c) il capo e i vice capi della polizia, nonché gli ispettori generali di pubblica sicurezza che prestano servizio presso il Ministero dell'Interno;
d) i prefetti della Repubblica ed i dipendenti civili dello Stato aventi la qualifica di direttore generale, o equiparata o superiore, ed i capi di gabinetto dei Ministri; .
e) i magistrati ordinari, i magistrati amministrativi e contabili, i giudici di pace, che esercitano le loro funzioni nella Regione;
f) gli ufficiali delle forze armate, che esercitano le funzioni nel territorio della Regione;
g) i vice prefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza che esercitano le loro funzioni nella Regione;
h) i segretari generali e i direttori generali delle amministrazioni provinciali comprese nella Regione, i segretari generali, i direttori generali ed i segretari dei comuni compresi nella Regione;
i) i dirigenti e i dipendenti della Regione;
j) gli amministratori e i dirigenti con funzioni di rappresentanza di ente o di azienda dipendente dalla Regione, nonché i Presidenti ed i consiglieri di amministrazione degli Enti d'ambito di cui alla L.R. n. 36/1994 e alla L.R. n. 2/1997 e delle relative società di gestione;
k) il direttore generale, il direttore amministrativo ed il direttore sanitario delle unità sanitarie locali;
l) il Difensore civico della Regione Abruzzo;
m) i membri del Collegio Regionale per le Garanzie statutarie;
n) i Sindaci dei Comuni della Regione con popolazione superiore a cinquemila abitanti, nonché i Presidenti e gli Assessori delle Province.
2. Le cause di ineleggibilità, di cui al comma 1, non hanno effetto se le funzioni esercitate, la carica o l'ufficio ricoperto, sono cessati per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa, non oltre novanta giorni antecedenti il giorno fissato per la presentazione delle candidature; le cause di ineleggibilità previste alle lettere a), b), l) e m) non hanno effetto se, nel termine predetto, le funzioni esercitate, la carica o l'ufficio sono cessati per dimissioni.
3. La Regione, gli Enti e le Aziende dipendenti adottano i provvedimenti di cui al comma 2, entro sei giorni dalla richiesta. Ove non provvedano, la domanda di dimissione o aspettativa, accompagnata dalla effettiva cessazione delle funzioni, ha effetto dal sesto giorno successivo alla presentazione. L'aspettativa è concessa per tutta la durata del mandato e senza assegni. Il periodo di, aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova.
4. In caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, le cause di ineleggibilità di cui al comma 1 non hanno effetto se le funzioni esercitate, la carica o l'ufficio ricoperto sono cessati, nelle forme prescritte, entro sette giorni dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento e sempre che questa sia anteriore al termine di cui al comma 2.
5. La domanda di dimissioni o aspettativa non ha effetto se non è accompagnata dalla cessazione delle funzioni con l'effettiva astensione da ogni atto inerente l'ufficio rivestito".
All'art. 4 bis prevede che “In sede di prima applicazione le cause di cui al comma 2 dell'art. 2 debbono essere rimosse entro venti giorni dall'entrata in vigore della presente legge”.
VII) La Giurisprudenza Della Corte Costituzionale
Con sentenza 11 giugno 1993, n. 344 la Corte costituzionale nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, primo comma, lettera a) recante Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione alla Camera dei Deputati, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, (la norma prevedeva l'ineleggibilità dei consiglieri regionali alla Camera dei Deputati, prescrivendo consequenzialmente per gli stessi consiglieri la cessazione dalle. funzioni almeno 180 giorni prima della scadenza della Camera dei Deputati, nonché l'obbligo della formale presentazione delle dimissioni, e prevedendo l'accettazione della candidatura come motivo di decadenza dalla carica di consigliere regionale) ha affermato principi generali rilevanti nel caso in esame.
Affermava il Giudice delle leggi quanto segue:
"3. ………(omissis) questa Corte, con la sent. n. 5 del 1978, si è pronunziata nel senso della non fondatezza su una questione in parte identica e nell'occasione ha risposto a molti dei problemi sollevati ora dal giudice "a quo".
La Corte ha allora affermato che l'intento, perseguito dal legislatore con la disposizione denunziata, non è già quello proprio della incompatibilità, ma è piuttosto quello di impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la "par condicio" fra i rari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una "captatio benevolentiae" o un "metus publicae potestatis"nei confronti degli elettori.
Questo intento, contrariamente a quanto supposto dal giudice "a quo", risulta confermato dai lavori preparatori della legge 5 febbraio 1948, n. 26 (legge elettorale), approvata dall'Assemblea costituente in sede legislativa, il cui art. 6 è divenuto, poi, l'art. 7 del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei Deputati, contenuto nel ricordato D.P.R n. 361 del 1957. Nella discussione per l'elaborazione della disposizione impugnata la posizione di coloro che avrebbero voluto limitarsi a prevedere l'incompatibilità tra la funzione di parlamentare e quella di consigliere regionale, già affermata dall'art. 122, secondo comma, della Costituzione, fu inequivocabilmente battuta dalla opposta idea di coloro che ritenevano, sul presupposto che lo scopo della ineleggibilità fosse distinto e diverso da quello della incompatibilità, che il legislatore ordinario, andando oltre la previsione direttamente stabilita dalla Costituzione, ben potesse, nell'esercizio della sua discrezionalità politica, disporre l'ineleggibilità dei consiglieri regionali a ciascuna delle Camere. E, ai fini della ricostruzione della "volontà" del legislatore, poco importa se alcuni parlamentari motivarono allora il voto a favore dell'ineleggibilità adducendo argomenti che in realtà avrebbero dovuto valere nel senso della scelta della incompatibilità, come, in particolare, il voler perseguire lo scopo di escludere che si potesse contemporaneamente partecipare alle assemblee elettive nazionali e a quelle regionali.
In armonia con tale intento, la ricordata sent. n. 5 del 1978 ha respinto i dubbi di legittimità costituzionale sull'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957, sollevati in riferimento all'art. 51 della Costituzione, avvertendo, tuttavia, che la "detta ineleggibilità potrebbe semmai, non apparire altrettanto giustificata secondo gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte laddove produca effetti per tutto il territorio nazionale anziché nell'ambito della regione nella quale il consigliere regionale eserciti il proprio mandato: ma siffatta questione non costituisce oggetto del giudizio sottoposto a questa Corte" (punto 3, in diritto).
In quell'occasione sono stati dichiarati non fondati anche i dubbi di legittimità costituzionale sollevati nei confronti della stessa disposizione in riferimento all'art. 3 della Costituzione. In particolare, la Corte ha ritenuto non sussistente tanto (l'asserita disparità di trattamento fra l'ipotesi del consigliere regionale ineleggibile come parlamentare e l'ipotesi inversa di quest'ultimo dichiarato incompatibile con la carica di consigliere regionale, quanto l'addotta discriminazione a sfavore dei consiglieri regionali stessi derivante dall'aver l'art. 7 sottoposto questi ultimi allo stesso trattamento (ineleggibilità) previsto per cariche diverse, come quelle di presidente di Giunta provinciale e di Sindaco di Comuni con più di 20.000 abitanti. Più precisamente, mentre nel primo caso la Corte ha basato la sua pronunzia d'infondatezza sul rilievo che si pretendeva comparare situazioni tra loro eterogenee (consigliere regionale/deputato o senatore), nel secondo caso, invece, non ha ritenuto arbitrario che il legislatore abbia equiparato le diverse cariche prima ricordate piuttosto che sottoporre allo stesso trattamento previsto per i consiglieri regionali uffici ancor più distanti, come quello di consigliere provinciale o di consigliere comunale.
In definitiva, nel giudizio del 1978 la Corte si è già pronunziata su tre distinti profili, che sono ora riproposti dal giudice "a quo": innanzitutto, su quello relativo alla pretesa contraddizione dell'art. 7 che prescrive l'ineleggibilità, con la propria "ratio legis", supposta come appropriata a una previsione di incompatibilità; in secondo luogo, sull'aspetto attinente alla pretesa irragionevole equiparazione delle tre distinte categorie indicate alle lettere a), b) e c), cioè quella fra i consiglieri regionali e i presidenti delle Giunte provinciali o i Sindaci dei Comuni maggiori; in terzo luogo, sulla asserita disparità di trattamento esistente fra la previsione d'ineleggibilità stabilita per i consiglieri regionali che intendano candidarsi al Parlamento nazionale e la previsione di incompatibilità disposta per i parlamentari che siano eletti nei consigli regionali. Inoltre, non si può negare che l'ultimo dei profili indicati pregiudica sostanzialmente l'ulteriore nuova prospettazione del giudice "a quo", concernente la pretesa disparità di trattamento intercorrente tra la previsione contestata e la disciplina posta per l'elezione del parlamento europeo, in relazione alla quale l'art. 6 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, ha stabilito semplicemente l'incompatibilità del parlamentare europeo con il presidente di giunta regionale e l'assessore regionale, lasciando del tutto fuori la figura del consigliere regionale.
4.- Restano, tuttavia, profili di costituzionalità sollevati dall'ordinanza di rimessione, che non sono stati toccati dalla precedente decisione. A parte il fatto che i confini della questione sottoposta al presente giudizio sono più ampi di quelli esaminati nel 1978 - considerato che ora l'ineleggibilità dei consiglieri regionali è contestata in relazione a tutte le sue possibilità applicative -, in questo caso il giudice "a quo" denunzia anche l'irrazionalità in sé della disposizione impugnata, derivante dal dubbio che l'ineleggibilità sia una conseguenza irragionevolmente sproporzionata rispetto alla natura dei poteri che ciascun consigliere regionale può esercitare al fine della "captatio benevolentiae" degli elettori.
In effetti, ad un attento esame dei lavori preparatori, non risulta in alcun modo chiarito quali potrebbero essere i poteri attribuiti al consigliere regionale il cui esercizio, ove questi fosse candidato alle elezioni per la Camera o per il Senato, possa essere presuntivamente considerato come possibile fattore di turbativa della "par condicio" che in campagna elettorale dev'essere assicurata a tutti i candidati. Né alcuna più precisa indicazione è rinvenibile nella giurisprudenza o anche in dottrina. Tuttavia, dovendo escludersi che l'esercizio di poteri collegiali possa essere determinante ai fini della previsione di cause di ineleggibilità, non resta altro che supporre che la previsione contenuta nell'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957 debba essere essenzialmente riferita, come ha indicato l'Avvocatura dello Stato, al potere di iniziativa legislativa spettante a ciascun membro del Consiglio regionale.
Così interpretato, l'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957, primo comma, lettera a), risulta palesemente irragionevole e assolutamente incoerente con il sistema delle ineleggibilità legislativamente previsto. Nell'ambito di questo sistema, infatti, la titolarità di un potere d'iniziativa legislativa non è mai posta come causa d'ineleggibilità, per il semplice fatto che, ove si considerasse l'esercizio di quel potere come possibile motivo di turbativa della "par condicio" fra i concorrenti ad una elezione politica o, addirittura, come mezzo idoneo rispetto al fine illecito della "captatio benevolentiae" o del "metus publicae potestatis" nei confronti degli elettori, dovrebbero essere considerati ineleggibili, allo stesso titolo, anche i consiglieri regionali o i parlamentari in carica che intendessero ripresentarsi nelle successive elezioni per il rinnovo dell'organo di appartenenza. Ed è questa una conseguenza che non può essere ragionevolmente sostenuta e che dimostra l'inidoneità del sopra indicato potere a dar luogo a svolgimenti in grado di produrre apprezzabili distorsioni o turbative rispetto alla parità di "chances" dei candidati in una competizione elettorale autenticamente democratica e, in definitiva, rispetto alla libera e genuina espressione del voto popolare, garantita come principio primario e inviolabile dagli artt. 1, 2 e 51 della Costituzione.
A obiezioni analoghe sarebbe sottoponibile la norma impugnata nell'ipotesi che il motivo della previsione dell'ineleggibilità fosse individuato nei poteri di controllo politico esercitabili dal singolo consigliere regionale nei confronti della Giunta e di ciascuno dei componenti di questa. In generale, comunque, non può esser trascurato il rilievo che poteri come quelli finora esaminati non sono assunti, di norma, come ragioni determinanti di ipotesi di ineleggibilità, dal momento che sono privi di quei caratteri di decisività e di gestione attiva della cosa pubblica, che sono requisiti essenziali al fine di configurare ragionevolmente il pericolo che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata per acquisire illecitamente consensi elettorali.
Tantomeno, poi, sarebbe giustificabile la disposizione impugnata ove si ritenesse che l'ineleggibilità dei consiglieri regionali derivi dal semplice fatto di rivestire quella carica o, in altre parole, dal prestigio proveniente da quell'investitura anche in termini di maggiore conoscibilità del candidato da parte dell'elettorato. Pur in tal caso, oltre a sfuggire a qualsiasi possibilità di comprensione una previsione del genere circoscritta ai soli consiglieri regionali, si rivelerebbe palesemente irragionevole una disciplina della ineleggibilità che mirasse a delimitare l'influenza nella competizione elettorale della notorietà derivante dal ricoprire determinate cariche pubbliche, tanto più nell'ambito di società, come quella nella quale viviamo, dove l'emergere di figure note al pubblico dipende da fattori molteplici e si verifica in svariati settori della vita sociale, fra i quali quello considerato non è certo il più rilevante.
In definitiva, la tenuità, se non l'inconsistenza, delle ragioni poste a base della previsione legislativa concernente l'ineleggibilità dei consiglieri regionali alla Camera dei Deputati dimostra l'evidente mancanza di quella rigorosa prova dell'indispensabilità del limite esaminato rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera competizione elettorale, che questa Corte, a partire dalla sent. n. 46 del 1969, costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale contenuto nell'art. 51 della Costituzione. Per questo, infatti, l'eleggibilità è la norma, l'ineleggibilità è l'eccezione (v., da ultimo, sent. n. 388 del 1991 e sent. n. 310 del 1991; sent. n. 539 del 1990; sent. n. 510 del 1989; sent. n. 1020 del 1988 e sent. n. 235 del 1988). Di modo che, ove la giustificazione dell'eccezione si rivelasse ragionevolmente priva di un legame necessario con l'esigenza di assicurare una corretta e libera concorrenza elettorale, non può non seguirne la dichiarazione d'illegittimità costituzionale della disposizione che la prevede.
Siffatta conclusione si impone tanto più ove si consideri che l'art. 7 del D.P.R n. 361 del 1957, primo comma, lettera a), suppone, come si è prima ricordato, che l'ineleggibilità ivi prevista non è limitata al caso in cui il consigliere regionale intenda presentare la propria candidatura in un collegio elettorale ricompreso nel territorio dove esercita il proprio mandato, ma produce effetti pur nell'ipotesi di candidatura in altra parte del territorio nazionale. Ebbene, questa possibilità, una volta che sia vista quale connotato intrinseco della disposizione impugnata, rappresenta, come è indicato nella sent. n. 5 del 1978, un ulteriore sintomo della palese irragionevolezza della stessa, in conseguenza della eccessiva e, comunque, sproporzionata ampiezza del campo degli effetti ad essa collegabile.
5.- Per effetto di questa pronunzia d'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957, primo comma, lettera a), il quale prevede l'ineleggibilità alla Camera dei "deputati regionali o consiglieri regionali", tale ineleggibilità viene meno anche in relazione alla elezione al Senato della Repubblica. Infatti, poiché l'art. 2 della legge 27 febbraio 1958, n. 64, suppone che per l'elezione del Senato si applicano, in tema di ineleggibilità, le leggi stabilite per la Camera, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale emanata con la presente pronunzia nei confronti dell'art. 7, primo comma, lettera a), del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera si estende automaticamente alle elezioni per il Senato.
Allo stesso modo, viene ovviamente meno la possibilità di applicare all'ipotesi contestata i commi secondo, terzo e quarto dell'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957, i quali sono stati impugnati dal giudice “a quo” non come disposizioni a sé stanti, ma solo in quanto riferiti ai consiglieri regionali.
A seguito della pronunzia ora adottata viene, dunque, meno l'ineleggibilità dei consiglieri regionali a parlamentari nazionali.
Resta ferma, tuttavia, la norma, immediatamente applicabile, contenuta nell'art. 122, secondo comma, della Costituzione. Ne deriva, pertanto, che al momento tra la carica di consigliere regionale e quella di membro di una delle Camere del Parlamento è stabilita l'incompatibilità. Ciò non toglie, tuttavia, che il legislatore possa prevedere l'ineleggibilità a parlamentare nazionale del presidente della giunta regionale e degli assessori regionali, poiché le considerazioni svolte in relazione ai consiglieri regionali non possono certo estendersi a categorie, come quelle ora ricordate, che sono individualmente investite di importanti poteri politici e di rilevanti funzioni di amministrazione attiva.
Ma, in verità, l'auspicio di questa Corte è che una legislazione, come quella vigente, ricca di incongruenze logiche e divenuta ormai anacronistica di fronte ai profondi mutamenti che lo sviluppo tecnologico e sociale ha prodotto nella comunicazione politica, sia presto riformata dal legislatore al fine di realizzare nel modo più pieno e significativo il valore costituzionale della libertà e della genuinità della competizione elettorale e del diritto inviolabile di ciascun cittadino di concorrere all'elezione dei propri rappresentanti politici e di partecipare in condizioni di eguaglianza all'accesso a cariche pubbliche elettive".
VII) L'esame Delle Domande
Il ricorrente chiede:
a) in via principale, accertare il diritto del D'Ambrosio a concorrere alle elezioni alla carica di Consigliere della Regione Abruzzo e dichiarare la sua eleggibilità, previa immediata disapplicazione delle norme, di cui all'art. 2, comma l°, lettera n), e – si opus sit - all'art. 4 bis, della legge della Regione Abruzzo n° 51 del 30.12.2004;
b) in subordine, accertare il diritto del D'Ambrosio a concorrere alle elezioni alla carica di Consigliere della Regione Abruzzo e dichiarare la sua eleggibilità, previa remissione alla Corte costituzionale delle norme, di cui all'art. 2, comma l°, lettera n), e - si opus sit - all'art. 4 bis, della legge della Regione Abruzzo n° 51 del 30.12.2004, affinchè la stessa Corte ne dichiari l'illegittimità per contrasto con gli artt. 3, 51 e 122 Cost.
In entrambe le opzioni, viene chiesta l'emanazione di un provvedimento d'urgenza anticipatorio di sentenza meramente dichiarativa. Tale provvedimento deve ritenersi ammissibile qualora, come nella situazione prospettata dal ricorrente, l'incertezza giuridica anteriore alla pronuncia finisce per aggravare i danni ed incidere su beni e diritti di contenuto non esclusivamente patrimoniale o costituzionalmente protetti, ovvero a rendere detti danni difficilmente riparabili (Pretura Roma, 25.1.93, in Giur. Merito, 1993, pag. 614). Ciò in quanto le misure cautelari atipiche possono essere adattate dal giudice alla situazione concreta, a ragione della strumentalità delle stesse rispetto alla decisione di merito e all'esigenza di salvaguardare il diritto dedotto e di evitare il prodursi di effetti irreversibili o difficilmente rimovibili in base all'esito del giudizio di merito (Tribunale Ragusa, ord. del 27.2.99 n. 3/99 R.G. ricorsi, in http://www.diritto.it).
Parimenti è ammissibile, quanto alla richiesta subordinata, che il Giudice adito in via cautelare, sospenda la trattazione della fase sommaria rimettendo la questione di legittimità costituzionale all'esame del Giudice delle leggi (per decisioni emesse a seguito di questioni di legittimità costituzionale sollevate in sede cautelare si rinvia a Corte Cost. sent. 6-13 maggio 1998 n. 166; 29 aprile – l0 maggio 1999, n. 167).
Tanto precisato, va tenuto presente che il Giudice ordinario non ha il potere di disapplicare una norma in vigore, atteso che il potere di disapplicazione è concesso per i soli atti amministrativi e a determinate condizioni dall'art. 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato E.
L'ipotesi invocata da parte ricorrente ed affrontata dal Tribunale Torino, con ordinanza 28 agosto 2000, riguardava un caso di provvedimento d'urgenza a tutela di un diritto soggettivo che si assumeva violato da una norma di legge ordinaria di cui si affermava l'illegittimità costituzionale ed il contrasto con una norma contenuta in un regolamento comunitario. Trattasi di ipotesi diversa da quella in esame, in cui a fronte di una pluralità di fonti normative che regolano la stessa fattispecie, al Giudice è consentito applicare quella di rango superiore, con conseguente regressione (o non applicazione) della norma inferiore.
Nel caso di specie non si presenta una situazione analoga, atteso che la L. 02-07-2004 n. 165 è norma di principio in bianco e la L.R. 30 dicembre 2004, n. 51 è norma di dettaglio.
Non è quindi ipotizzabile una diretta applicazione della norma nazionale in luogo di quella regionale, ma si tratta di verificare se sussistano le condizioni previste dagli artt. 23 e segg. L. 11- 03-1953 n. 87 per sollevare l'invocata questione di legittimità costituzionale.
Ciò precisato, si rileva che il ricorrente propone la questione in una duplice prospettiva. Sotto un primo profilo si afferma che sarebbe violato l'art. 51 Cost. per ingiustificata compressione del diritto di elettorato passivo, atteso che né la norma, né il Giudice di prime cure si sono preoccupate di chiarire come il Sindaco di un Comune di limitate dimensioni (7.788 abitanti) possa incidere sulla competizione elettorale regionale, tanto da condizionarla o addirittura turbarla in modo diretto. Nella stessa prospettiva di violazione dell'art. 51 Cost., ma con toni più sfumati, si contesta il meccanismo della rimozione delle cause di ineleggibilità, sia in generale, che con riferimento alla previsione del limite di 20 giorni di cui all'art. 4 bis della L.R.A. 51-04, che "sarebbe arbitraria ed anche peggiorativa rispetto a quella generale della legge 154 del 1981 ".
Una seconda censura riguarda la violazione del principio di eguaglianza, perché la norma regionale:
- pone i Sindaci della regione Abruzzo in una posizione di disparità di trattamento rispetto agli omologhi nel resto del territorio nazionale;
- consente che all' elezione dei Consiglieri regionali possono legittimamente partecipare soggetti, che esercitano le loro funzioni elettive su tutto il territorio regionale ed avrebbero, perciò, ben più ampia e penetrante capacità di incidere sull'elettorato attivo, quali i Consiglieri uscenti, il Presidente del Consiglio regionale, gli Assessori regionali, ed il Presidente della Giunta regionale.
Viene quindi chiesto di sottoporre alla Corte costituzionale il duplice controllo di eguaglianza - o, secondo le più usate terminologie, di "coerenza" o anche di "razionalità" - e di "ragionevolezza". Trattasi di due profili distinti, atteso che il primo comporta un controllo volto a stabilire se tra le varie manifestazioni normative nella stessa materia e quella denunziata esista una congruità dispositiva o, invece, vi siano contraddizioni insanabili. Il secondo prescinde da raffronti con termini di paragone (i quali, al più assumono solo un valore sintomatico), per esaminare la rispondenza degli interessi tutelati dalla legge ai valori ricavabili dalla tavola costituzionale o al bilanciamento tra gli stessi, inferendo una contrarietà a Costituzione solo quando non sia possibile ricondurre la disciplina ad alcuna esigenza protetta in via primaria o vi sia una evidente sproporzione tra i mezzi approntati e il fine asseritamente perseguito [per ipotesi in cui la Corte ha provveduto a scrutinare sia la razionalità (controllo di eguaglianza) sia la ragionevolezza di una data norma, cfr. sent. 8 giugno 1992, n. 258, in Giur. Cost., 1992, 1996 ss.; sent. 6 marzo 1995, n. 78, ivi, 1995, 712 ss.; sent. 31 maggio 1995, n. 209, ivi, 1995, 1581 ss.; sent. 17 luglio 1995, n. 325, ivi, 1995, 2492 ss.].
Conviene iniziare la verifica dal profilo di ragionevolezza.
L'art. 122 Cost. attribuisce alle Regioni la competenza in materia di:
- sistema di elezione dei Consigli regionali;
- casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali.
In questo ambito il legislatore regionale opera con ampio potere discrezionale, che va esercitato nel rispetto dei principi fondamentali di cui alla L. n. 165 del 2004, In particolare la previsione delle cause di ineleggibilità è consentita "qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati".
La norma conferma la ratio ispiratrice della previsione di cause di ineleggibilità che, come si evince dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è quella di impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la "par condicio" fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una "captatio benevolentiae" o un "metus publicae potestatis" nei confronti degli elettori.
Va subito respinta l'interpretazione data dai ricorrenti all'art. 2, comma l, lett a) L. 02-07-2004 n. 165, secondo cui lo stesso consentirebbe di prevedere cause di ineleggibilità solo in relazione a particolari situazioni delle regioni. Dalla lettura della norma si ricava che queste situazioni sono previste non come la ragione esclusiva della previsione delle cause di ineleggibilità, ma come ulteriore ipotesi che fonda la previsione stessa; significativo e determinante è l'uso della parola "anche" e della virgola al termine dell'inciso “qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato”. In altri termini è rimessa alla discrezionalità del legislatore regionale l'individuazione di attività e funzioni che possano "turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati". Tale scelta può essere operata o con riferimento a categorie generali, ovvero con riferimento a situazioni specifiche connesse a particolari situazioni locali.
L'ineleggibilità prevista dalla L.R. 30 dicembre 2004, n. 51, all'art. 2, comma l°, lett. n) per i Sindaci dei Comuni della Regione con popolazione superiore a cinquemila abitanti, va ascritta alla prima ipotesi, facendo riferimento ad una intera categoria di soggetti.
Ciò posto, vanno tenuti presenti due elementi.
Da un lato, la figura del Sindaco, come delineata dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), è individualmente investita di importanti poteri politici e di rilevanti funzioni di amministrazione attiva. Inoltre la L.R. 9 marzo 2002, n.1, (integrata per altri profili dalla L.R. 13 dicembre 2004, n. 42), nel recepire la L. 17-2-1968 n. 108, recante Norme per la elezione dei Consigli regionali delle regioni a statuto normale, ha confermato che il territorio di ciascuna Regione è ripartito in circoscrizioni elettorali corrispondenti alle rispettive Province. Non sembra allora irragionevole prevedere l'ineleggibilità per i Sindaci dei Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti, limite oltre il quale il legislatore regionale, nella sua insindacabile autonomia, ha ritenuto di prevedere situazioni di potenziale pericolo per la libertà e la genuinità della competizione elettorale. Un riscontro della non irragionevolezza della previsione viene dalle previsioni del D.P.R. 30-3-1957 n. 361 (Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del D.Lgs. 20-12-1993 n. 533 (Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica).
Le prime si svolgono sulla base delle circoscrizioni di cui all'art. 3 e Tabella A D.P.R. 30-3-1957 n. 361 che, nella Regione Abruzzo, coincidono con il territorio dell'intera Regione. Le seconde, parimenti, si svolgono su base regionale (art. 1 D.Lgs. 20-12-1993 n. 533). L'art. 7, lett. c), D.P.R. 30-3-1957 n. 361 -richiamato per le elezioni al Senato dall'art. 5 D.Lgs. 20-12-1993 n. 533 - dispone che non sono eleggibili i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. Orbene, se il legislatore nazionale ha ritenuto di dover fissare questa causa di ineleggibilità quale parametro generale per elezioni su base regionale (o comunque, per le elezioni alla camera in regioni diverse dall'Abruzzo, in ambito ultra-provinciale), appare non irragionevole ed in linea con detto criterio la scelta del legislatore abruzzese di rendere non eleggibili i Sindaci di Comuni con oltre 5.000 abitanti per elezioni, quali quelle dei consigli regionali, che si svolgono su base provinciale.
Sempre nella prospettiva di verifica della ragionevolezza delle previsioni non normative contestate, non può poi condividersi l'affermazione per cui la previsione del limite di 20 giorni prevista dall' art. 4 bis della L.R.A. 51-04, sarebbe arbitraria ed anche peggiorativa rispetto a quella generale della legge 154 del 1981.
Vanno, invero, condivise le argomentazioni del Giudice di prime cure in ordine alla conferma di un esercizio non irragionevole della discrezionalità legislativa regionale in forza della prevista disattivazione della causa di ineleggibilità, anche nella fase transitoria, attesa la possibilità di concorrere alla competizione elettorale previa rimozione della causa di ineleggibilità entro venti giorni dall'entrata in vigore della legge (art. 4 bis L.R. 51), termine che non sembra impeditivo della possibilità di organizzare la candidatura alle elezioni regionali (in concreto, per giunta, non viene affatto rappresentata tale difficoltà).
Inoltre l'assunto per cui il termine di venti giorni sarebbe peggiorativo rispetto a quello generale della legge 154 del 1981 (il cui art. 2 prevede che le cause di ineleggibilità…………non hanno effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando collocamento in aspettativa non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature), è smentito dalla nuova disciplina introdotta dalla L. n. 165 del 2004 che nel confermare “l'inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature “aggiunge l'inciso o “altro termine anteriore altrimenti stabilito”, così facultando il legislatore regionale a prevedere un termine più breve rispetto a quello ultimo di presentazione delle candidature.
L'ineleggibilità prevista dalla norma regionale non appare altrettanto giustificata e ragionevole nella parte in cui produce effetti per tutto il territorio regionale anziché nell'ambito della sola provincia nella quale il Sindaco e gli altri soggetti indicati esercitano il proprio mandato, poiché in altre zone del territorio regionale essi non possono valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la "par condicio" fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una "captatio benevolentiae" o un "metus publicae potestatis" nei confronti degli elettori. Non ricorre, all'evidenza, il principio di riferimento indicato dalla L. n. 165 del 2004 e cioè che la previsione delle cause di ineleggibilità da parte delle Regioni è consentita “qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati".
Quanto poi alla violazione del principio di eguaglianza, valgano le seguenti considerazioni.
Si afferma in primo luogo che la norma regionale pone i Sindaci della regione Abruzzo in una posizione di disparità di trattamento rispetto agli omologhi nel resto del territorio nazionale.
Il Giudice di prime cure ha correttamente sottolineato che non viene in rilievo il fatto che altri ordinamenti (L. Friuli 29 Luglio 2004, n. 21) hanno inteso stabilire la mera incompatibilità tra la carica di Sindaco e carica di Consigliere regionale (piuttosto che l’ineleggibilità del primo),trattandosi di disparità normative ormai ineludibili nell'impianto federalistico disegnato dal nuovo titolo V della carta fondamentale, difformità da accettare come tali laddove non travalichino -come qui non è parso - i principi fondamentali di derivazione statale".
Tali argomentazioni sono pienamente condivisibili e ritiene il Collegio di farle proprie.
Diverse considerazioni vanno svolte riguardo alla lamentata violazione del principio di eguaglianza, sull'ulteriore assunto che la norma regionale consente di partecipare all'elezione dei Consigli regionali soggetti i quali esercitano le loro funzioni elettive su tutto il territorio regionale ed avrebbero, perciò, ben più ampia e penetrante capacità di incidere sull'elettorato attivo, quali i Consiglieri uscenti, il Presidente del Consiglio regionale, gli Assessori regionali, ed il Presidente della Giunta regionale.
Al riguardo la risposta va modulata in relazione alle specifiche figure ora indicate.
In ordine ai consiglieri regionali (e, conseguentemente, al Presidente del consiglio regionale) in carica, non si ravvisa la lamentata disparità di trattamento.
A parte la considerazione che i consigli regionali esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinovazione (art. 3 L. 17-2-1968 n. 108, recante Norme per la elezione dei Consigli regionali delle regioni a statuto normale), giova riprendere le affermazioni della Corte costituzionale, riportate in precedenza, (sentenza 11 giugno 1993, n. 344) che, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, primo comma, lettera a), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, nella parte in cui prevedeva l'ineleggibilità dei consiglieri regionali alla Camera dei Deputati, riteneva "l'ineleggibilità………una conseguenza irragionevolmente sproporzionata rispetto alla natura dei poteri che ciascun consigliere regionale può esercitare al fine della "captatio benevolentiae" degli elettori".
Affermava il Giudice delle leggi:
“………ad un attento esame dei lavori preparatori, non risulta in alcun modo chiarito quali potrebbero essere i poteri attribuiti al consigliere regionale il cui esercizio, ove questi fosse candidato alle elezioni per la Camera o per il Senato, possa essere presuntivamente considerato come possibile fattore di turbativa della "par condicio" che in campagna elettorale dev'essere assicurata a tutti i candidati. Né alcuna più precisa indicazione è rinvenibile nella giurisprudenza o anche in dottrina. Tuttavia, dovendo escludersi che l'esercizio di poteri collegiali possa essere determinante ai fini della previsione di cause di ineleggibilità, non resta altro che supporre che la previsione contenuta nell'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957 debba essere essenzialmente riferita, come ha indicato l'Avvocatura dello Stato, al potere di iniziativa legislativa spettante a ciascun membro del Consiglio regionale. Così interpretato, l'art. 7 del D.P.R. n. 361 del 1957, primo comma, lettera a), risulta palesemente irragionevole e assolutamente incoerente con il sistema delle ineleggibilità legislativamente previsto. Nell'ambito di questo sistema, infatti, la titolarità di un potere d'iniziativa legislativa non è mai posta come causa d'ineleggibilità, per il semplice fatto che, ove si considerasse l'esercizio di quel potere come possibile motivo di turbativa della "par condicio" fra i concorrenti ad una elezione politica o, addirittura, come mezzo idoneo rispetto al fine illecito della "captatio benevolentiae" o del "metus publicae potestatis" nei confronti degli elettori, dovrebbero essere considerati ineleggibili, allo stesso titolo, anche i consiglieri regionali o i parlamentari in carica che intendessero ripresentarsi nelle successive elezioni per il rinnovo dell'organo di appartenenza. Ed è questa una conseguenza che non può essere ragionevolmente sostenuta e che dimostra l'inidoneità del sopraindicato potere a dar luogo a svolgimenti in grado di produrre apprezzabili distorsioni o turbative rispetto alla parità di “chances” dei candidati in una competizione elettorale autenticamente democratica e, in definitiva, rispetto alla libera e genuina espressione del voto popolare, garantita come principio primario e inviolabile dagli artt. l, 2 e 51 della Costituzione.
A obiezioni analoghe sarebbe sottoponibile la norma impugnata nell'ipotesi che il motivo della previsione dell'ineleggibilità fosse individuato nei poteri di controllo politico esercitabili dal singolo consigliere regionale nei confronti della Giunta e di ciascuno dei componenti di questa. In generale, comunque, non può esser trascurato il rilievo che poteri come quelli finora esaminati non sono assunti, di norma, come ragioni determinanti di ipotesi di ineleggibilità, dal momento che sono privi di quei caratteri di decisività e di gestione attiva della cosa pubblica, che sono requisiti essenziali al fine di configurare ragionevolmente il pericolo che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata per acquisire illecitamente consensi elettorali. Tantomeno, poi, sarebbe giustificabile la disposizione impugnata ove si ritenesse che l'ineleggibilità dei consiglieri regionali derivi dal semplice fatto di investire quella carica o, in altre parole, dal prestigio proveniente da quell'investitura anche in termini di maggiore conoscibilità del candidato da parte dell'elettorato. Pur in tal caso, oltre a sfuggire a qualsiasi possibilità di comprensione una previsione del genere circoscritta ai soli consiglieri regionali, si rivelerebbe palesemente irragionevole una disciplina della ineleggibilità che mirasse a delimitare l'influenza nella competizione elettorale della notorietà derivante dal ricoprire determinate cariche pubbliche, tanto più nell'ambito di società, come quella nella quale viviamo, dove l'emergere di figure note al pubblico dipende da fattori molteplici e si verifica in svariati settori della vita sociale, fra i quali quello considerato non è certo il più rilevante”.
Tali osservazioni possono riprendersi in pieno per quanto attiene alla eleggibilità dei consiglieri regionali e del Presidente del consiglio regionale in carica.
Riguardo al Presidente ed i membri della Giunta regionale in carica, va ricordato che la più volte richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 344 del 1993, nell'eliminare la previsione di ineleggibilità dei consiglieri regionali alla Camera dei Deputati, precisava che tale soluzione non escludeva “che il legislatore possa prevedere l'ineleggibilità a parlamentare nazionale del presidente della giunta regionale e degli assessori regionali, poiché le considerazioni svolte in relazione ai consiglieri regionali non possono certo estendersi a categorie, come quelle ora ricordate, che sono individualmente investite di importanti poteri politici e di rilevanti funzioni di amministrazione attiva”.
E' quindi indubbio che tali soggetti si trovano in una posizione tale da potersi valere dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la "par condicio" fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una "captatio benevolentiae" o un "metus publicae potestatis" nei confronti degli elettori.
Occorre quindi verificare se risponda a parametri di eguaglianza l'art. 2, 1°, lettera n), L.R. 30 dicembre 2004, n. 51 nella parte in cui consente - implicitamente – al Presidente ed ai componenti della Giunta regionale in carica, di conservare le loro rilevanti funzioni fino al momento delle nuove elezioni e di essere eleggibili, sì da poter cumulare, nel delicato periodo della campagna elettorale, i due ruoli di candidato consigliere e di componente della Giunta e nel contempo esclude l'eleggibilità di altri soggetti quali i Sindaci dei Comuni della Regione con popolazione superiore a cinquemila abitanti, i Presidenti e gli Assessori delle Province.
In verità non pare revocabile in dubbio che tutti i componenti della Giunta si trovano in posizione quantomeno equivalente ed omogenea a quella degli altri per i quali la norma prevede l'ineleggibilità. Né può affermarsi che essi, operando su base regionale, non potrebbero turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori, atteso che, secondo le ripetute affermazioni della stessa Corte costituzionale, sono individualmente investiti di importanti poteri politici e di rilevanti funzioni di amministrazione attiva, posizione che implica un rapporto diretto e non mediato con i potenziali elettori e relativi gruppi esponenziali.
La soluzione della lettera n) dell'art. 2, L.R. 30 dicembre 2004, n. 51 appare ancor più meritevole di vaglio da parte del Giudice delle leggi se si pensa da un lato che i soggetti in essa indicati, pur operando su base al più provinciale, sono ineleggibili in tutto il territorio regionale e, dall'altro, che la precedente lettera i) prevede l'ineleggibilità per soggetti facenti parte dell'apparato amministrativo regionale (dirigenti e dipendenti della Regione) i quali si trovano sottoposti al controllo (politico-gestionale) della Giunta nel suo complesso e degli assessori nominati nei rispettivi settori.
Orbene è principio costituzionale consolidato che “l’imperativo di razionalità della legge impone che la ratio degli interventi sia perseguita integralmente: se ciò non avviene, la previsione legislativa ingiustificatamente mancante determina una discriminazione vietata dall'art. 3 della Costituzione" (sent. n. 476 del 2002). L'art. 2, comma 1, lettera n) L.R. Abruzzo 30 dicembre 2004, n. 51, nell'introdurre deroghe al principio costituzionale di eleggibilità per tutti i cittadini sancito dall' art. 51 Cost., sembra provocare tale effetto discriminatorio, in quanto non ha disciplinato in modo paritario tutte situazioni tra loro omogenee e sostanzialmente equivalenti ed appare in contrasto con "il valore costituzionale della libertà e della genuinità della competizione elettorale e del diritto inviolabile di ciascun cittadino di concorrere all'elezione dei propri rappresentanti politici e di partecipare in condizioni di eguaglianza all'accesso a cariche pubbliche elettive" enunciato dal Giudice delle leggi in chiusura della sentenza n. 344 del 1993, quale fondamentale parametro di riferimento nella materia. Non è pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera n) L.R. Abruzzo 30 dicembre 2004, n. 51, in riferimento agli artt.. 3 e 51 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'ineleggibilità dei Sindaci dei Comuni della Regione con popolazione superiore a cinquemila abitanti, dei Presidenti e degli Assessori delle Province, sia perché estende detta ineleggibilità a tutto il territorio regionale anziché nell'ambito della sola provincia nella quale detti soggetti esercitano il proprio mandato, sia perché non ha disciplinato in modo paritario tutte le situazioni tra loro omogenee sostanzialmente equivalenti, consentendo - implicitamente - al Presidente ed ai componenti della Giunta regionale in carica, di conservare le loro rilevanti funzioni fino al momento delle nuove elezioni e di essere eleggibili, sì da poter cumulare, nel delicato periodo della campagna elettorale, i due ruoli di candidato consigliere e di componente della Giunta regionale in carica.
La pronuncia della Corte costituzione idonea ad elidere le esposte ragioni di irragionevolezza e irrazionalità per disparità di trattamento, sembra essere quella della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera n) L.R. Abruzzo 30 dicembre 2004, n. 51 con la conseguente eliminazione della norma dall'ordinamento della regione Abruzzo.
P.Q.M.
- revoca l'ordinanza emessa il l0 febbraio 2005 dal Giudice designato;
- visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953 ritenutane la rilevanza e non manifesta infondatezza, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera n) L.R. Abruzzo 30 dicembre 2004, n. 51 per contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione;
- sospende il presente giudizio n. 674 del Ruolo Generale 2005;
- manda alla cancelleria per provvedere alla immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
- manda alla cancelleria per notificare la presente ordinanza alle parti ed al Presidente della Giunta regionale dell' Abruzzo;
- manda alla cancelleria per comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Pescara 1 marzo 2005
il giudice estensore
Dott. Pasquale Fimiani
IL PRESIDENTE
Dott. Enzo Turco
Depositata in Cancelleria
Oggi 1/3/2005